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Il cavo coassiale, in un primo momento, fu utilizzato per le trasmissioni analogiche a lunga distanza e poi fu impiegato per trasmettere segnali digitali. Questi, rispetto ai segnali analogici, risentono dei disturbi: come il rumore, o le distorsioni del segnale, e non può raggiungere lunghe distanze. Si ovviò, rigenerando il segnale ogni 1800 metri.
Il cavo è composto da un conduttore di rame posto al centro del cavo (anima) e da un dielettrico (di solito polietilene) che separa l’anima centrale dallo uno schermo esterno costituito da fili metallici (maglia: che aiuta a bloccare le interferenze), garantendo l’isolamento tra i conduttori.
Il segnale viaggia sotto forma di campo elettromagnetico tra l’anima e la maglia a una velocità che è una frazione di quella della luce nel vuoto.
Esperimenti su questi tipi di cavi furono condotti in diversi paesi (Gemania, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia), sino a che il cavo americano fu lo standard adottato. Si trattava di un filo di rame di 2,6 mm di diametro, intorno al quale si posizionava, con l’aiuto di rondelle di politene, il conduttore esterno a tubo, con diametro di 9,5 mm. Sul tubo esterno erano avvolti dei nastri (uno o due) di materiale ferroso, al fine di minimizzare la diafonia. Questa si dimostrava così ridottissima sino a frequenze molto alte (sull’ordine dei 100-200 MHz), anche per fili separati solamente da nastri
di carta.
Questo tipo di cavo era complesso e costoso da fabbricare e non poteva essere piegato eccessivamente attorno ad angoli retti e ben presto fu sostituito dal cavo in fibra ottica.