CENTRALINISTE DEL 187

Nel 1971, un anno prima che partissi per il corso di assunzione in SIP (Società Italiana Per Il Servizio Telefonico), l’esaminatore, dopo il terzo e ultimo colloquio, mi chiese se volevo lavorare come supplente notturno al 187. Specificando che l’accettazione non avrebbe comunque influenzato la decisione su una mia eventuale conferma a frequentare il corso: risposi che ne ero consapevole, e accettai.

Il lavoro consisteva nel ricevere dai clienti le richieste di sveglia, fornire i numeri di telefono, leggere l’oroscopo, dare gli orari dei treni, ecc., o mettere in comunicazione il cliente con un’altra persona che si trovava fuori dallo stesso prefisso (allora si poteva chiamare direttamente solo il proprio distretto).

Eravamo in quattro. Il turno iniziava alle dieci e terminava alle sette.

 

Una buona parte delle richieste che pervenivano al personale del servizio notturno, si focalizzava sulla sveglia. La prenotazione era registrata su una scheda: compilata dal personale diurno, dove s’indicava il nome del richiedente, l’ora della sveglia, e il numero di telefono.

A me toccava svegliare i panettieri, e gli orari si concentravano tra le tre e le quattro del mattino.

Anche se prestavo la massima attenzione al numero che facevo, rimanevo con il dubbio di aver sbagliato fino a quando il cliente non rispondeva e l’attesa era sempre lunga.

Quello che si vede in figura è lo schema di funzionamento di un disco combinatore che si usava allora e gli errori meccanici, più che quelli umani, erano frequenti.

Qualche volta mi capitò di sbagliare e potete ben immaginare le parolacce che mi presi, ma quello che non posso scordare di quelle lunghe notti furono le chiamate delle persone sole.

Parlavano dei loro figli lontani, o che si erano scordati di loro, degli acciacchi, e della paura di morire quella notte. Che pena sentire i loro sfoghi, ma nello stesso tempo ero contento che potessero contare su qualcuno che li ascoltasse e, per qualche minuto, si sentissero meno soli.

Lavorando nel periodo estivo, mi chiesero se volevo fare anche qualche turno diurno e devo dire che la prima volta mi sentii imbarazzato in mezzo a un centinaio di signorine che mi squadravano da testa ai piedi.

Di giorno, il salone lungo una cinquantina di metri, aveva tutto un altro aspetto. Il sole che penetrava attraverso le grandi finestre, disposte su entrambi i lati, lo rendeva luminoso, rispetto alla cupa luce delle lampade al neon delle mie notti.

Sulla parte destra vi erano le postazioni con le operatrici che mettevano in collegamento i clienti con gli interlocutori fuori dal distretto, mentre sulla sinistra si trovavano le operatrici che fornivano le informazioni. In fondo al salone c’era l’ufficio della responsabile, mentre la caposala aveva a disposizione una scrivania al centro del salone.

Era una bella signora, pardon: signorina. I maligni dicevano che molte di loro erano rimaste “zitelle” per colpa della guerra…, non so se fosse vero, ma in effetti, di “signorine” ve ne erano parecchie.

La caposala m’indicò la postazione e dopo aver salutato le colleghe inserii lo spinotto della cuffia e dopo alcuni istanti iniziarono ad arrivarmi le chiamate dei clienti che chiedevano il numero di telefono di persone o ditte ubicate in qualsiasi parte d’Italia.

La risposta all’informazione era da cercare scartabellando nelle rubriche telefoniche, che si trovavano in uno scaffale dietro a ogni postazione.

Le prime chiamate furono traumatiche: m’incasinavo nell’associare la città con le provincie e il tempo passava. Tempo che doveva essere il più breve possibile, altrimenti l’inflessibile caposala, dopo aver controllato il tabellone appeso sulla parete che riportava il numero dei clienti in attesa e i tempi di risposta, mi rimbrottava.

Ricordo che alcune centraliniste, ogni tanto, si prendevano un attimo di pausa togliendo leggermente lo spinotto della cuffia, ma l’intransigente caposala se ne accorgeva immediatamente, e le diceva ironicamente: «Ci sono problemi alla cuffia?» colte sul fatto borbottavano qualche scusa, e riprendevano prontamente il lavoro.

Per non parlare del tempo che uno utilizzava per la pausa: che era di un quarto d’ora. Se ritardavi, a me succedeva spesso, lei, picchettando l’indice della mano sul suo orologio, mi redarguiva ad alta voce per il tempo perso a gozzovigliare. Avrei voluto dirle che il ritardo era solo di un minuto, ma pensai che fosse meglio scusarmi e, con fare contrito, ritornare al mio posto: anche perché, da voci di “corridoio”, sapevo che lei era molto amica del responsabile del reparto trasmissioni.

Un dettaglio piccante! Un giorno mentre uscivo dall’ufficio dopo aver finito il turno diurno incontrai un coetaneo, che era un tecnico d’impianti interni speciali (centralini), il quale mi disse che si sentiva a disagio quando doveva riparare la postazione guasta di una centralinista dal carattere “vivace”.

Gli chiesi il motivo, e lui mi disse: «Quando devo sostituire un cordone telefonico, sono costretto ad andare sotto la postazione, e…»

«E…,non capisco?» gli risposi facendo l’ingenuo.

«Lei allarga le gambe e mi dice: ragazzino guarda il paradiso! E tutte a sghignazzare alle mie spalle.»

«Beato te» e lo salutai con un sorriso.

Era un ragazzo timido e sensibile. Si spettegolava che un giorno si fosse recato in una villa nei dintorni di Busto per riparare un telefono interno di un centralino, e abbia ricevuto le avances dalla padrona di casa. Lui, terrorizzato, fuggì lasciando la borsa degli attrezzi. Poi, per non dover rifondere il costo dell’attrezzatura, confessò il “misfatto” al suo responsabile, che gli disse: «Stai tranquillo, ci penso io a recuperarla, e nessuno saprà niente…»

Ero titubante se inserire questo spaccato della mia vita lavorativa in un sito/blog tecnico, poi ho pensato che fosse giusto condividerlo con voi e far conoscere cosa avveniva e avviene, quando siamo “disturbati” da persone che cercano di vendere un prodotto/servizio. Ora spero che sarete più indulgenti.